Alessandro Bergonzoni è un artista, comico, scrittore, autore, attore, in evoluzione costante, un mago della parola impegnato su tantissimi fronti, dall’accessibilità alla lettura. Lo avevo ascoltato nel recital Predisporsi al Micidiale e siccome lo avevo trovato originale ne ho seguito il successo della sua poliedrica carriera. Lei parla per metafore? “Io parlo per impossibilità del pensiero, cioè mi piace pensare all’impossibile e all’inaudito. Ovviamente, per fare ordine, viaggio poi sulla metafora perché altrimenti gli spettatori, ma anche i giornalisti, se non faccio ordine si perdono.

Chi ha fatto l’inaudito nel mondo? “Certamente gli artisti, i poeti, gli scultori e i pittori. Ora l’inaudito è lasciato soltanto ai vari Sanguineti,  ai Dubuffet, ai Deschamps e ai Picasso”. Una lettura dell’inaudito soltanto nel passato? “No, non solo nel passato, ma anche nell’attualità, come in Mimmo Paladino o in Vinicio Capossela. Per gli altri c’è in atto una grande stasi. Tutti una bisogno di attualità e di riferimenti, non lavorano più per genialità o creatività. Tutto è frutto di un qualcosa che c’è o per reazione a qualcosa, o contro qualcosa. In pratica non c’è la sorgente”. Come definirebbe questo suo pensiero? “Se non venissi tacciato di New Age o di banalità della retorica, la chiamerei “Anima delle cose”. Il dramma è in questi termini e aveva ragione Beppe Grillo quando diceva che stanno operando in maniera tale da farci perdere la sensibilità ai polpastrelli. Io aggiungo che vengono cancellate anche le impronte dell’anima e della mente e la gente ci sta perfettamente e noi siamo complici di questa richiesta”.

Lei è un affabulatore? “L’affabulazione che mi riconoscono non esisterebbe se non ci fosse un collegamento con il pensiero. È stranissimo come a un ballerino venga concesso di vagare nel vuoto perché il corpo è un oggetto che si rispetta, mentre quanto riguarda chi parla è sempre affabulazione. Non si va mai a vedere la profondità del resto. E questo mi dispiace. Soltanto perché uno usa la parola fa un virtuosismo. Io dico che ci sono dei concetti. La parola è un iceberg che sta sotto a un’altra struttura piena di vita.”. Quale frase vorrebbe lasciare in eredità? “Non amo gli epitaffi e non amo metterli sulla tomba dove metterei, invece, una targa qualsiasi come BoE4138. Adesso dico: “L’importante non è essere leali, ma avere le ali” perché mi piace il volo pindarico, non ne posso più della giustizia applicata all’arte. È banale. Siamo tutti attaccati al bisogno di verità, ma nell’arte bisogna lasciarla perdere perché l’unica verità dell’arte è l’arte stessa”.

Quindi nessuna eredità. Neanche ai suoi due figli? “Ai miei due figli non lascerai niente. Sto, tra l’altro, cercando di lavorare proprio sul concetto di non appartenenza. I valori non sono la famiglia se non hai una testa piena di energia e piena di anima. Se non hai un tuo scheletro. Trovo folle la rincorsa ai valori senza usare il valore principale che è quello della spiritualità, dell’altrove, della diversità. Lo trovo pazzesco. Quei due figli hanno un karma completamente diverso dal mio. Io farò soltanto un pezzo di percorso con loro. Non ho bisogno di annettare me stesso a nulla, nè alla mia famiglia, nè alla mia epoca. Non c’è niente di mio, di nostro. Lo trovo ridicolo”. Se le dico che non c’è indipendenza senza libertà, lei è d’accordo. “È vero, ma non è la libertà che mi interessa. Ci siamo fermati a Gaber che diceva ‘la libertà è partecipazione’. Era un concetto buono tanto tempo fa. Adesso la libertà è fatta di sana paura, di insicurezze e di non certezze. Ma questa è una libertà che la gente non vuole. La libertà va molto oltre, ma ci si ferma molto prima”. Non c’è una cura per un’anima libera? “Dovremmo sentirci Dio. Se avessimo la certezza di esserlo, o almeno un suo pezzo, non avremmo bisogno di cercare la libertà e di combattere per tenercela. Quindi la cura è cercare l’oltre e parlo di entità di energie, di energia spirituale da non confondere con la religiosità”.

Vada avanti, approfondisca il concetto che dovremmo sentirci Dio. “Sentirsi umili e modesti dà i risultati che stiamo vedendo. E non è l’ossessione di un qualcuno al posto nostro, è un qualcuno che siamo noi e che noi ci vergogniamo a diventare. A forza di modestia non nascono artisti, poeti e creativi”. Come si organizza con il banale quotidiano? “Quanto ho detto non significa che io non viva la vita di tutti i giorni: ho figli, pago le tasse e non mi chiudo su una montagna. Però significa che non dobbiamo per forza essere pecore tristi preposte soltanto a realizzarci o sfidarci tramite i sacrifici. Sarebbe troppo banale”.