Alla XXI Biennale Europea d’Arte Fabbrile, a Pratovecchio Stia in provincia di Arezzo dal 3 al 6 settembre, si riuniscono fabbri di circa 100 diverse nazioni che esporranno le proprie opere. In quei giorni si potrà capire quale piega stanno dando al ferro battuto gli artigiani di mezzo mondo.

In anteprima abbiamo incontrato Gibo, il cui nome per esteso è Angelo Gilberto Perlotto (Gilberto per distinguerlo dal nonno Angelo Perlotto), uno degli artigiani scultori che sarà presente con le sue opere durante questo evento, un figlio d’arte visto che da quattro generazioni la sua famiglia fa questo. Ed in maniera eccellente considerato, ad esempio, che il bisnonno Antonio Lora ha lavorato persino per lo Zar Nicola II e per Francesco Giuseppe D’Austria e, soprattutto, che il padre è riuscito in quello in cui pochissimi genitori riescono, trasmettere al figlio la propria difficile arte di lavorare il ferro e anche la passione di farlo.

Gibo, però, non si è piegato a calcare pari pari le orme dei suoi Avi, ha preferito scegliersi una propria strada. Lui si ritiene infatti un iperrealista e scopriamo che gli inizi del suo percorso sono stati in salita, sebbene oggi la sua tecnica sia considerata unica al mondo. Mentre dalla sua Bottega laboratorio affacciata sulla Valle di Trissino nel vicentino, si gode un panorama di pace che invoglia a prendere in mano gli attrezzi, tutto attorno ci accolgono le sue ultime opere, ognuna rigorosamente coperta da un panno nero, quasi a protezione, coperture che fanno soltanto intuire cosa si può nascondere sotto.

E che colpo d’arte, la teatralità adoperata da Gibo, di aprirle una dietro l’altra! Aiuta chi arriva a non farsi distrarre dall’insieme, regalando importanza ad ogni sua creatura in ferro. Prima la giacca che racconta la storia di Toni l’anarchico insurrezionista, in un angolo l’ombrello nel vaso, poi i libri o la sedia col violino, il tagliere con il salame al quale manca solo l’aroma è posato su un ripiano, mentre in centro stanza c’è il tavolo per fare gli esorcismi legato al periodo di Leone XIII. E quel ‘colore legno’ delle sue opere, che necessita di essere toccato per verificare che legno non è. I suoi sono tutti pezzi unici ed irripetibili e c’è da scommetterci, presto prenderanno il volo anche come quotazioni.

Comunque sarà, si ha davanti un artigiano illuminato, un uomo dal cervello fine, basta confrontarsi con lui per notare la sua originalità già da quando spiega la sua metamorfosi di artista. “Mia mamma – ci racconta gesticolando simpaticamente – arriva da una famiglia di contadini, per questo io sento che la territorialità è importante, perché nessuno può riscattare la miseria senza fare sacrifici. A me non è mai interessato essere il protagonista unico, per capirci non mi è mai interessato essere la lumaca. Io preferisco essere la bava che la lumaca lascia, perché se si arriva dopo che lei è passata, anche se non la si vede se ne intuisce il passaggio”.

Non a caso in Bottega sono venute alcune personalità, non solo il meglio del Veneto, ma, per dare un’idea, il meglio dell’Italia, da Furio Colombo a Ermanno Olmi, e tutti hanno espresso il proprio apprezzamento incondizionato e sincero a questo artista. Con tali premesse potremmo pensare che, presto o tardi, Gibo aprirà una sua Scuola dove insegnerà la sua tecnica e dove certamente avrà molti allievi che subiranno la sua influenza. E che vorranno seguire la sua bava.