Anche Philippe Leroy, un grande attore francese (ve lo ricordate Janez in Sandokan?), è un viaggiatore puro. È stato il primo a viaggiare subito dopo la guerra nel 1947 in qualità di “french student”.

«Avevo 17 anni e mi ero imbarcato come mozzo alla scoperta degli Stati Uniti – ha raccontato appoggiato all’inseparabile bastone – Una volta arrivato a New York molte famiglie americane mi hanno aiutato dandomi ospitalità intenerite dalla mia giovane età. Lavoravo 2/3 giorni come lavapiatti o benzinaio e i 3/4 dollari che mi guadagnavo mi permettevano di proseguire il mio viaggio. Ho fatto così 20.000 chilometri in 9 mesi girando tutti gli Stati Uniti in autostop».

La sua vita per molti anni è continuata avventurosa, senza ricevere avvisaglia alcuna sul futuro lavoro di attore. Si è arruolato volontario nella guerra in Indocina con il grado di Sotto tenente, per poi sbarcare a Tahiti dove ha fatto il manovale nell’aeroporto in costruzione e dove ha vissuto qualche anno. Qui, lui e un suo amico hanno inventato il primo giornale economico che dava notizie della merce che sbarcava dalle navi.

«I migliori lettori erano i commercianti, che acquistando i giornali foraggiavano la nostra impresa e il pezzo forte, scritto sempre a quattro mani, era un giallo, che nulla aveva a che vedere con quelli di Sherlock Holmes, dove venivano inventati strani intrecci polizieschi che avevano come sfondo i carichi delle navi stesse».

La vita di Philippe dopo si movimenta sempre di più, quasi al limite con le avventure che vivrà nei suoi film .

«Nel 1956 mi sono stufato e sono partito alla volta della Costa Rica per andare a disboscare un po’ di jungla. Mi sono fermato là quasi due anni tentando di mettere su una “finca” per fare allevamento di bestiame, ma il muggito delle vacche mi innervosiva e ho capito che era già ora di ripartire».

Le sue mete non sono mai state prefissate con precisione da manuale, anzi sovente si sono legate a degli incontri occasionali.

«Avevo conosciuto un americano che mi aveva raccontato della bellezza della Costa Atlantica. Sono partito con lui lasciando San Josè di Costa Rica sul versante del Pacifico e mi sono spostato sull’Atlantico per dedicarmi alla raccolta delle uova di tartaruga. Lì ho imparato cosa significasse muoversi in canoa su di un fiume in mezzo ai coccodrilli e ho avuto i primi incontri ravvicinati con gli squali bianchi».

Nel 1958 è stato in Algeria come Tenente e ha girato tutta l’Africa del Nord, poi il Messico, poi il Marocco vivendo in mezzo ai Berberi per approdare, infine, al mestiere che lo ha fatto conoscere in mezzo mondo e che gli ha anche permesso di continuare a viaggiare.

«Il mio lavoro mi ha portato in Colombia, in Venezuela, in Ecuador, in Malesia, in Italia, ma potrei continuare per ore a raccontarvi di quanti paesi del globo ho visto e in quanti ho vissuto, ma non voglio tediarvi. Forse un posto speciale nel mio cuore lo occupa la Malesia con quella gente dallo sguardo indecifrabile».

Philippe Le Roi ha una prerogativa: non torna mai nei luoghi già visitati e ce ne spiega i motivi: «Non amo tornare dove sono stato felice, mi sembrerebbe di dovere distruggere i bei ricordi per fare posto a quelli nuovi e poi – aggiunge – odio gli hotel di lusso e per me viaggiare significa dormire in sacco a pelo e oggi, forse, con l’età mi devo calmare».

Prima di chiudere l’intervista gli chiediamo se ritiene di avere vissuto una vita avventurosa e lui, magari anche stranito dalla domanda ha risposto scuotendo il capo: «Avventure no, ma certo la paura è stato un ottimo stimolo in più per vivere e poi io ho una stella che non mi ha mai abbandonato».