L’Abruzzo di ‘Colomba’ è una regione ricorrente nel suo impegno di scrittrice. Ora è anche cittadina onoraria. Cosa la spinge in questo lembo di terra e come si sente quando ci arriva.

In Abruzzo ci sono arrivata per caso, invitata una volta da  Ettore e Gigliola Scola che hanno una casa a Pescasseroli e mi hanno fatto conoscere la bellezza di quelle montagne. Ho cominciato affittando una casa e poi ne ho comprata una. Mi ci sono affezionata. Amo i boschi abruzzesi, amo quel tanto di arcaico che è rimasto fra quelle montagne ancora abitate da lupi e orsi.. Amo la memoria di quei prati di altura dove i marsicani, che erano coraggiosi e testardi, hanno combattuto per secoli contro i romani.

Un viaggio che ha fatto da bambina e che le ritorna in mente?

Beh, il viaggio in Giappone con i miei. Veramente ricordo poco del viaggio di andata, perché avevo appena un anno. Ma della permanenza in Giappone, e precisamente a Sapporo, dove ho conosciuto il tormento e la grazia della neve quasi perenne, e poi il viaggio di ritorno, sono molto presenti alla mia mente.

Ci regala una breve memoria del suo Giappone? Quanti anni aveva esattamente quando è stata con suo padre nel campo di concentramento?

Avevo sette anni. Però non è giusto dire “con suo padre” perché nel campo c’era tutta la famiglia: mia madre e le mie due sorelle. Mia madre fra l’altro ci tiene che si sappia che lei ha deciso, a prescindere da mio padre, essendo stata interrogata separatamente, di non firmare l’adesione alla Repubblica di Salò. Sono stati due anni terribili, di fame, di bombe, di terremoti, di parassiti, interni ed esterni, di freddo e di paura.

Torna spesso dove è nata. Chi è rimasto là, cosa fa quando ci torna?

Sono nata a Firenze. Ci torno spesso sì. Fra l’altro la protagonista del mio romanzo,’ Il treno dell’ultima notte’, è fiorentina, di Rifredi.

Quelli del campo di concentramento, sono stati due anni terribili, di fame, di bombe, di terremoti, di parassiti, interni ed esterni, di freddo e di paura

Il posto del cuore. Il pezzetto di mondo che sente più suo.

Io sono di famiglia una nomade e una girovaga. Non ho messo radici da nessuna parte anche se sto a Roma ormai da più di trent’anni. Mi piace viaggiare. Non mi sento veramente di appartenere a uno spazio fisso. Mi sento italiana sì, ma con molte ramificazioni straniere: ho un nonno svizzero, una nonna cilena e una inglese. È la lingua in cui scrivo che mi definisce e mi identifica. L’italiano, che amo, mi lega all’Italia che vorrei fosse migliore, più ardimentosa e generosa, meno egoista e limitata nella sua maggioranza.

Il viaggio più bello della sua vita?

Sinceramente non saprei dire. Ce ne sono tanti e bellissimi. Comunque uno che ricordo con affetto mi riporta sul fiume Congo su cui, con Pasolini e Moravia, abbiamo navigato per centinaia di chilometri in mezzo alla giungla con un battello da carico assieme agli africani, alle galline ai maiali e alle scimmie.

Quale Paese le manca che vorrebbe assolutamente visitare?

Mi manca il Tibet, che conosco attraverso le foto e gli scritti di mio padre, ma non ho mai visto di persona. E poi mi sento sempre molto vicina al piccolo paese di montagna tenuto sotto torchio dai cinesi.

Un viaggio che ricordo con affetto è quello sul fiume Congo su cui, con Pasolini e Moravia, abbiamo navigato per centinaia di chilometri in mezzo alla giungla

All’estero, dove le capita di trovarsi a proprio agio con il cibo locale. Di quale piatto o ricetta straniea ha nostalgia al punto da ingegnarsi e cucinarselo?

Beh, naturalmente il Giappone, perché mi riporta i sapori della mia infanzia. Mi piacevano tanto da piccola gli omochi con la soia calda. Gli omochi sono dei piccoli dolci di riso che si vendono secchi e duri come mattonelle. Messe al forno si gonfiano e diventano morbidi e filanti. Si mangiano intinti nella soya dolce.