Tinto Brass

Parlare di viaggi con Tinto Brass è divertente. Maestro nello spostarsi alla ricerca del puro piacere, gastronomico o dei tanti che ci offre la vita, racconta i suoi viaggi tirando fuori dalla memoria aneddoti quanto mai curiosi. Alcuni dei quali nati girando i suoi film, da quello che lo ha consacrato, La Chiave con Stefania Sandrelli, a quello che lui stesso pur dispiaciuto, ha dichiarato essere stato un flop, Senso 45 con la brava Anna Galiena.

Di origine russa, Brass si trasferì giovanissimo a Venezia laureandosi in Giurisprudenza, ma la passione per il cinema lo portò presto a Parigi. Una terra che nei suoi racconti ritorna più volte. Una metropoli dove sceglierebbe di esiliare se costretto, e non, come spiega, perché la Francia è il Paese che ha regalato al mondo il miglior cinema, ma perché è attrezzata bene per i single e per la terza età.

«A me piace il cibo e a Parigi ci sono delle charcuterie che paiono dei centri commerciali, espongono ogni ben di Dio e bisogna trattenersi per non entrare. Per chi come me vive solo è una gioia: entro e compro una quiche lorraine o venti grammi di fois gras, oppure mi sbizzarrisco sulle mille qualità dei loro formaggi. Ho risolto il pranzo, ma ho anche soddisfatto i capricci del palato».

Parigi val bene…un quartiere. Quale?

«Io abito nel Quartiere Latino, vicino a Saint Germain. Non frequento quelli troppo bazzicati, come gli Champs Elysèe. Tranne per comprare il caviale, quando mi spingo fino a La Madeleine…Solo per il caviale, però».

Come vola a Parigi, viaggia in prima classe?

«Sempre e solo in prima classe, come farei diversamente? Mi ha visto? Sono troppo grosso per infilarmi dentro i sedili dell’economy. A terra, invece, siccome non guido uso il taxi. Ma se riesco cerco di coinvolgere qualche amicizia che mi faccia da chaperon. E onestamente, di preferenza, scelgo delle belle amiche».

Negli scaffali di casa sua fanno bella mostra libri in diverse lingue. Non è un vezzo, vero?

«No, leggo tranquillamente in francese, inglese e tedesco e così quando vado all’estero ne acquisto parecchi. Non amo fare shopping, al limite entro nei negozi di abbigliamento perché in Italia è difficile trovare capi adatti alle mie dimensioni. A Parigi compro camicie e pantaloni, mentre a Londra compro le scarpe».

C’è un libro che le ha fatto nascere il desiderio di conoscere una terra nuova?

«Recentemente ho letto “L’elogio delle donne mature” dell’ungherese Stephen Vizinczey. Mi ha fatto venire voglia di andare in Ungheria e contemporaneamente ha fatto riaffiorare le mie origini perché ci sono dei richiami forti verso quei territori. Mio nonno era austro-ungarico e mia nonna russa, e precisamente di Odessa, ed è lei che mi ha insegnato le lingue».

Qual è stato il viaggio più curioso che ricorda?

«Certamente quello che mi ha portato a cambiare Ateneo quando ero ancora studente universitario. Studiavo a Padova, ma mi sono trasferito e per un motivo non molto accademico. A Padova avevano appena chiuso i casini e a Ferrara non ancora. La scelta, lo ammetto, non depone a mio favore, ma la verità è questa ed è inutile addolcirla. Per uno che ha vissuto in quegli anni l’idea che chiudessero le case di tolleranza era un incubo. Avevamo tutti le tessere false per potervi accedere. Non ci si voleva certo rinunciare».

E il viaggio da mettere in un’ipotetica black-list?

«I viaggi non li faccio mai pensando che debbano ritornarmi per forza qualcosa, quindi mi vanno sempre bene, anche quando mi lasciano poco o parrebbero vissuti in situazioni difficili. Ad esempio da bambino ero sfollato ad Asolo, un paesino bellissimo. Il fatto che fosse appena scoppiata la Guerra non me lo rese meno intrigante. Aveva prevalso la novità, l’apertura verso il nuovo e la fuoriuscita dalla consuetudine e dalla routine. Accadde lo stesso quando scoppiò la Guerra del Golfo, agli inizi degli anni ’90. Io stavo facendo Paprika, un film dove giravo con 10 donne nude attorno. Onestamente, del resto non ero capace di preoccuparmi, nonostante sapessi che era un momento angoscioso».

Lei ha chiamato suo figlio Bonifacio, un nome papale, ma anche uno stretto…Come mai?

«Alla Cinémathèque Française di Parigi, una sorta di Louvre del cinema dove lavoravo da giovane, c’era una donna strepitosa, Mary Merson, una di quelle persone che mi piace ricordare tra i “grandi contemporanei”. Penso avesse delle doti divinatorie. Mia moglie all’epoca era incinta e sapevamo che era un maschio. Stavo per svelarle qualcuno dei nomi ai quali avevo pensato, quando Mery Merson mi fermò, mi guardò in faccia piantandomi addosso uno sguardo penetrante e disse Bonifacio. Io e mia moglie ci guardammo stupiti, perché in effetti era uno dei nomi possibili. Era stata una coincidenza troppo particolare, impossibile non tenerne conto».

E in fatto di cibo e vino, dove ci indirizza?

«Sono legatissimo ai crostacei che si mangiano nella laguna di Venezia, alla Locanda Cipriani di Torcello. Era di mia moglie Tinta e oggi la gestisce mio figlio. Adoro canocchie, polpetti, granseole, ma nel mio caso c’è anche una spiegazione oggettiva. Contengono fosforo, che si sa alimenta il cervello, matrice di tutte le fantasie erotiche. Riguardo ai vini, invece, ovunque io vada ordino le bottiglie Jermann, una ditta friulana. Quando arrivo in un ristorante li domando e ho notato che, solitamente, la volta dopo li trovo».

Ha mai preso in considerazione un Paese unicamente per la bellezza delle donne che lo abitano?

«No, il mito delle svedesi non mi ha mai particolarmente toccato. Per me le donne più sensuali sono quelle caucasiche, da cui discendiamo anche noi. Certo che le francesi …dire ed ascoltare certe cose in lingua francese è molto più coinvolgente, ça va sans dire. E poi la Francia con la sua ‘liberté’, ci ha fatto sognare a lungo».

Quando farà le prossime valigie?

«In casa ho sempre dei bagagli pronti all’uso. Lascio dentro le cose di base, mutande, calze e magliette, ma quello che non dimentico di mettere, nemmeno se partissi all’improvviso, è una boccetta di profumo. Uso il Potpourri dell’Officina Farmaceutica Santa Maria Novella. E’ un’essenza inconfondibile di erbe, fiori e piante. E’ talmente connaturato e incarnato in me che la gente oramai mi riconosce seguendo la scia che mi lascio dietro. Ovviamente anche l’aroma di sigaro ha la sua rilevanza, mi segue sempre come fosse la mia nuvoletta. Io adoro il sigaro dell’Avana, ma non quello fatto a Cuba, preferisco quello confezionato in Nicaragua. E ho scoperto che anche Churchill fumava solo sigari arrotolati in Nicaragua. In più mi piace la loro forma a siluro, detta torpedo. I sigari sono un poco la prolunga della mia anima».

Però non ci ha ancora detto dove ha in programma di andare a breve.

«Sono stato invitato sia in Giappone che in Cina e ci andrò nel 2008. Ho saputo che hanno messo in vendita dei cofanetti dei miei film e sono andati a ruba, ma la bizzarria è che là sono diventato un’icona del mondo gay! Ho poi capito il motivo. Sulle stampe cinesi e giapponesi, l’arte erotica propone gli uomini con dei falli grandi, forse per bilanciare la natura perché pare che la razza gialla non goda di dimensioni ragguardevoli. Siccome mentre giro, non ho pazienza di aspettare che l’attore si produca in un’erezione, gli faccio sempre applicare delle protesi poderose. Ecco perchè i gay cinesi e giapponesi amano i miei film. Certamente, sarò una terribile delusione quando mi ospiteranno e racconterò loro la verità».