Perché concentrarci soltanto su quei campi base ai piedi degli ottomila? O sulle imprese estreme raccontate da molti libri, come quella dell’alpinista Simone Moro medaglia d’oro al valore civile per il salvataggio di un rocciatore inglese proprio sul nepalese Lhotse (8516 mt)?

È stata una sorpresa scoprire che se al Nepal togliessimo l’Everest, l’Annapurna e la corona montuosa che tanto gli ha garantito attenzione, avremmo lo stesso una terra fantastica.

L’immaginazione deve restare alta comunque perché questi giganti rocciosi, di cui si percepisce la presenza sempre anche stando a bassa quota, non sono le uniche star del Nepal, se non si scala o si fa trekking trascurare il resto equivale a fare un torto ad un luogo intriso di storia, cultura, natura, di un cibo esotico senza pari. Nonché di mille cortili nascosti ricchi di sorprese, templi e monasteri, vasellame e bandiere di preghiera, sacralità statuaria e fiori, gente accogliente. Non iniziamo la visita dalla città di Kathmandu nella Valle omonima, preferendo lasciarla per ultima in modo che col suo fascino non adombri quanto vedremo.

Andiamo ad Ovest scegliendo quale prima tappa Pokhara, cittadina porta d’accesso per i trekking dell’Anapurna la cui vetta più conosciuta è la cosiddetta ‘coda di pesce’, o Machhapuchhare (ancora inviolata perché proibito scalarla). Pokhara è adagiata sullo smeraldino Phewa Tal, il più grande lago nepalese dove è abitudine noleggiare una barchetta colorata provvista di rematore per ammirare il riflesso delle montagne nell’acqua e visitare il tempietto Barahi sull’isoletta lacustre a poche bracciate a nuoto. L’alternativa sarà salire a Sarangkot per ammirare i massicci rocciosi a perdita d’occhio e magari non perdersi i colori del tramonto sull’Himalaya.

Se invece vi piace l’atmosfera del lago, ma preferite i luoghi meno affollati, ritagliatevi una passeggiata sulle sponde del lago Begnas Tal, sulle cui sponde la gente lavora le risaie o vive di pesca.

Da qui partiamo per raggiungere Lumbini, luogo di pellegrinaggio buddista perché attorno al VI secolo a.C. vi nacque Siddhartha Gautama, meglio noto come il Buddha. Il tempio Maya Devi, dal nome della madre, la Regina Maya, è stato edificato nel punto esatto del lieto evento, vi si può ammirare la venerata impronta di Siddhartha e si presenta, dentro e fuori, ricoperto dalle classiche bandierine di preghiera, anche a chi non ha fede regala una festosa atmosfera di pace.

Attorno, nella Lumbini Development Zone, km e km di parco work in progress che si arricchisce continuamente di nuovi monasteri e templi fatti costruire via via dalle comunità buddiste di tutte le nazioni. Il più visitato è quello giapponese, la grande bianchissima Pagoda della Pace nel Mondo, ma vale la pena raggiungere la zona monastica occidentale per il Monastero Buddhista Cinese di Zhong Hua, oppure andare nell’area orientale per il Tempio d’Oro del Myanmar.

Ci sono decine e decine di strutture, alcune europee (tra queste, quella tedesca e quella austriaca) e la visita diventa interessante anche per prendere confidenza con i diversi stili architettonici.

Seguendo il flusso del Narayani River ci allontaniamo dalla sacralità di Lumbini di circa 100 km e arriviamo al Parco nazionale di Chitwan, boschi fitti si alternano a villaggi, salite e discese hanno segnaletiche che ammoniscono di andare piano. Siamo nella terra dei Tharu che vivono nella Riserva dal 1932 (dopo essere scappati dalla Mongolia), all’inizio cacciando animali, poi, da che nel 1954 è iniziata la deforestazione, nutrendosi di piante medicinali, dedicandosi alla pesca e alla coltura del riso, gente risultata immune alla malaria e studiata dagli scienziati al fine di combatterla, persone che hanno mantenuto uno stile di vita molto semplice.

A pochi km dall’entrata del Parco di Chitwan c’è un Museo che ne racconta la storia e dove si scopre che Chit significa cuore e wan giungla. Fino ad una decina di anni fa si poteva anche pernottare all’interno del Parco, ma oggi non è più possibile sebbene la giungla sia molto frequentata da pic nic, passeggiate nella foresta, safari in jeep o a dorso di elefante organizzati due volte al giorno, mattino e pomeriggio, direttamente dalle strutture alberghiere.

Il Tiger Temple Resort in particolare propone un’ottima genuina cucina e organizza una piacevole interessante serata con musica e danze della tradizione Tharu. L’animale più ambito da fotografare è il raro rinoceronte da un corno solo, ma tutto sommato è anche quello più facile da vedere, perché delle poche tigri del Bengala presenti, le stesse guide si accontentano di ammirare le impronte.

Il giorno dopo ripartiamo verso la Valle di Kathmandu, ne abbiamo sentito raccontare meraviglie, ma niente sarà affascinante come la realtà che ci sta venendo incontro. A Khokana e a Bungamati due villaggi newari di 700 famiglie, praticamente due musei viventi alla periferia di Patan conosciamo meglio l’etnia che la abita e la loro cucina che si distingue dal resto del Nepal, non scordate di assaggiare il woh uno speciale pancake, o il gnocco dolce ripieno di melassa e sesamo.

Girando le stradine lastricate, entrando nelle case (alcune in fango) con tetti di tegole in mattoni, diventa chiaro di essere restati fermi al Medioevo, l’industrializzazione non è arrivata ed osservare le semplici attività quotidiane degli abitanti significa sfogliare un libro di storia.

Khokana è nota per la produzione dell’olio di senape, molto utilizzato in tutto il Nepal sia per cucinare, sia per fare i massaggi terapeutici; le donne siedono fuori casa e filano mentre gli uomini schiacciano i semi della senape per estrarre l’olio. Nel mese di gennaio al Festival di Khokana ci si può unire alle danze Newari imparando a cucinare i loro piatti della tradizione, che, come la lingua, sono d’origine tibeto birmana. A Bungamati l’attività predominante è invece l’intaglio del legno e ovunque si possono acquistare maschere o suppellettili uno differente dall’altro perché prodotti rigorosamente a mano.

Che dopo scegliate di visitare subito Patan, o prima Bhaktapur, entrambe nel raggio di 50 km, è ininfluente. Non le scorderete mai più.

Certo, Patan è la più antica e forse la più bella tra le città reali del Nepal, ma Bhaktapur, città newari del XII secolo capitale del regno Malla, vi sorprenderà perché non è preceduta da una giusta fama. Talmente ricche di palazzi e siti archeologici sia l’una che l’altra, è opportuno organizzare visite adeguate e mettere in preventivo lunghe passeggiate e del tempo da dedicare agli acquisti dei singolari ninnoli, quadri tipici, magliette divertenti, sciarpe in pashmina in vendita a prezzi decisamente contenuti.

Le preparate guide turistiche (che parlano anche l’italiano) vi daranno tutte le informazioni raccontandovi ogni possibile curiosa leggenda, ma noi preferiamo suggerirvi soltanto il modo migliore per fare una pausa. A Patan, un pranzo sulla terrazza del Caffé du Temple per assaggiare i famosi momo, una sorta di grossi ravioloni ripieni, a scelta con carne o verdura che, sovente, vedrete preparare anche per strada bolliti in grandi pentoloni fumanti.

A Bhaktapur, salite invece all’ultimo piano del Tempio della piazza Taumadhi, l’edificio è stato trasformato nel Caffé Nyatapola con tavolini sulla balconata annessa (informazione condivisa da San Voyage con gli utilizzatori dell’applicazione Rego della Apple). Il menu del Nyatapola presenta un’ampia scelta, ma la cittadina è famosa soprattutto per essere la maggiore produttrice del Juju Dhau, buonissimo yogurt al quale è stato dato appellativo di Royal (reale), di cui anche la versione Sikarni, con noci e spezie, è deliziosa.

Nell’ultima tappa di avvicinamento a Kathmandu, impossibile non fermarsi a visitare Swayambhunath o tempio delle scimmie, un complesso buddista sulla sommità di una collina affacciato su Kathmandu da cui godere del suo panorama e offrire a Buddha i butter lumps (burro su cui si consuma una lucina), Boudhanath a pochi km, la bianca stupa il più importante monumento buddista i cui canonici occhi dipinti su cupola dorata paiono osservarti lungo tutto il giro della piazza circolare, un perimetro dove si respira un’aria talmente internazionale da scordare di trovarsi in questa parte del sud est asiatico e Pashupatinah il tempio induista sul fiume (spesso secco), nel quale incrociare i sadhu (comunemente chiamati baba), i seguaci di Shiva cosparsi di cenere dal volto dipinto, ma impattante anche emotivamente perché vi si svolgono le cremazioni.

E arriviamo infine tra le bellezze di Kathmandu perdendoci nella suggestione dei suoi angoli migliori. La Durbar Square, la piazza dalla quale si dipanano le vie che portano al magnifico Palazzo Reale. La Freak Street, nascosta ai margini del centro storico, un richiamo

enorme per fricchettoni ed hippies di ogni età e provenienza, dove vi si riuniscono escursionisti ed esploratori spirituali alla ricerca di stili di vita alternativi. Thamel, il quartiere dello shopping tappezzato di bacheche nelle quali cercare la migliore offerta per un corso di buddismo o uno di yoga e, ultimissima tendenza, un corso professionale nel quale imparare la tecnica del cosiddetto ‘massaggio trekking’, quello che regala sollievo ai muscoli tesi degli scalatori.

Tante anime che si fondono in una e tutte all’ombra dei giganti montuosi, in primis gli 8.848 mt dell’Everest, in nepalese chiamato Sagaramāthā. Un mix intrigante che ha regalato a Kathmandu l’onore che merita e ne ha tramandato il nome da Ovest ad Est dando lustro a tutto il Nepal.