Un fiume come il Mekong, che lambisce sei stati ed ha una grande storia, ha il potere di fare sognare e di attirare viaggiatori anche e soltanto per attraversarlo da sponda a sponda, non solo per questo osservare all’imbrunire la capitale cambogiana dalle sue acque è uno spettacolo da non perdere, e, anche se dopo abbiamo scelto di girare il paese in auto, abbiamo fatto bene a fare questa breve crociera.

La civiltà fluviale è sorprendentemente attiva, da una parte villaggi di pescatori cham con le reti messe ad asciugare per terra, dall’altra le luci della reggia di Phnom Penh, la Pagoda d’Argento, le stanze ricche di tesori e le tombe dei sovrani. Ed una curiosità, ci hanno raccontato che l’attuale Re da parte di padre ha origini italiane, una butade o una verità che non ci è stata più confermata, aumentando il mistero. Insieme a noi sul battello una famiglia cambogiana che chiacchiera nel loro musicale linguaggio, mentre il Comandante ci indica un allevamento di pesci proprio accanto alle enormi gru di acciaio che scavano il fiume per togliere sabbia, perché questo è un punto dove confluisce la potenza del fiume Tonle Sap e dove se ne dirama un altro, il Tonle Bassac, e i lavori evitano gli straripamenti che lambirebbero facilmente le vie principali della città.

Alla sinistra del Palazzo reale la sontuosità di nuovi edifici ultra moderni dove sta per nascere un quartiere residenziale e lussuoso che potrà godere del suggestivo affaccio sul fiume. Volendo, la crociera potrebbe continuare fino a raggiungere il lago di Phnom Krom ad una manciata di chilometri da Siem Reap, ma bisognerebbe lasciare il Mekong ed inforcare diversi bracci via via sempre più stretti dove la vita parebbe ridursi al lumicino, pur regalando foto spettacolari di pescatori bambini ed aironi sempre più numerosi.

Non lasceremo Phnom Penh senza visitare gli orrori di cui raccontano i siti che ruotano attorno alla figura del dittatore Pol Pot politico rivoluzionario e capo dei guerriglieri comunisti cambogiani, i Khmer Rossi. Ci lascia raccapricciati soprattutto il Memorial del Genocidio dove dal 1976, sui due ettari di quello che era un antico cimitero cinese, tra lussureggianti piantagioni di palme da cocco, ad appena 15 km dalla capitale, vennero torturati ed uccisi oltre tre milioni di persone, tra cui anche nove europei e tutta l’intellighenzia cambogiana, dottori, laureati, insegnanti, comprese le loro famiglie, chiunque potesse ridurre le distanze dall’ignoranza imperante. Per sincerarsi chi fosse un contadino e chi no, una delle prove che chiedevano ai condannati a morte che lamentavano la loro innocenza, era di salire su una palma a piedi e mani nude. Chi ce l’avrebbe fatta?

Ci trasferiamo a Siem Reap. Per strada camion fermi senza una ruota in mezzo alla strada, risaie senz’acqua perché il riso può nascere anche così, baracchine di legno con appeso pesce secco affumicato, e il mercato speciale di Skoun dove vendono ragni e tarantole fritte, a riprova che gli insetti potranno essere il futuro dell’alimentazione mondiale. Si viaggia accompagnati da un cielo azzurro e nuvole bianche al galoppo, e, mentre a bordo strada sfilano nuovi paesaggi di fabbriche di mattoni rossi, un cartello con un elefante che pesta una tigre, il simbolo della provincia di Siem Reap, ci accoglie.

Siem Reap è conosciuta in tutto il mondo soprattutto per il suo maestoso sito archeologico Patrimonio dell’Umanità con tanti templi tanto diversi tra loro, dal più grande edificio sacro del mondo Angkor Wat alle secolari radici che diventano un tutt’uno con i muri di Ta Promh. Una sorpresa continua, perché in poche altre nazioni si trova una così alta concentrazione di capolavori architettonici. Passeggiare per Angkor Thom, come viene chiamata l’ultima delle capitali dell’Impero Khmer sorta nel sito di Angkor, magari faccia a faccia con i grandi volti sereni e sorridenti di Buddha scolpiti nella pietra, fa immaginare l’emozione che provarono i primi esploratori europei nel XIX secolo quando si trovarono di fronte al primo delle centinaia di templi di Siem Reap rimasti abbandonati nella giungla per secoli. Edifici che costituiscono una testimonianza del genio dei Khmer, tra le grandi potenze del Sud Est asiatico, un Impero trasposto anche nella pellicola cinematografica di Tomb Raider, chi non ha mai visto l’immagine di Angelina Jolie-Lara Croft intenta a cogliere un fiore di gelsomino sotto l’enorme pianta che da allora è stata soprannominata ‘l’albero di Tomb Raider’?

Ma la Cambogia non ci ha riservato soltanto l’aspetto di congiunzione tra storia e mito e nemmeno soltanto fango e polvere che si alternano alla pioggia e all’umidità, ci ha ulteriormente sorpreso con la sua lungimiranza sociale. Molti ristoranti cambogiani, come ad esempio il Romdeng, fanno opera di inserimento delle persone sfortunate e disadattate, insegnano loro a cucinare o li utilizzano come camerieri in sala. Non solo, molte altre realtà, in particolare i negozi di abbigliamento, promuovono al loro interno l’arte e la cultura in ogni sua faccia. Segni indelebili di una sensibilità a tutto tondo. Ed infine, c’è il vero valore aggiunto di questo Paese, il suo popolo estremamente gentile con i forestieri. Che non ti fa sentire un’occasione di “make money” (fare soldi), perché i sorrisi che ti regalano le persone sono indiscutibilmente veri e, già questo, da solo, basta per sentirsi accolti.