Sulla targa dell’auto lo stato confederato del Michoacan viene appellato “El alma de México”. Siamo nel luogo scelto dai Purépecha (detti anche indiani Tarasco), i nativi americani stanziatisi in questa regione nord occidentale e nella cui lingua, Michoacan, significa terra dei pescatori. Pur essendo nelle vicinanze della sponda meridionale il pescado bianco al quale i nativi si riferivano non é quello dell’Oceano Pacifico, bensì quanto si pesca ancora oggi nel grande lago di Pàtzcuaro, un pesce unico dalla bianca polpa corposa e dal sapore che ricorda un marlin piuttosto che un cibo lacustre.

Con i suoi muri di adobe inbiancati di calce e i tetti dalle tegole scure, la cittadina coloniale di Pàtzcuaro è perfettamente conservata, identica a come la vide sviluppare nel XVI secolo il sacerdote, divenuto poi vescovo per volere della Corona spagnola, Vasco De Quiroga.

Si deve anche a lui se tutta l’area, e il Michoacan in generale, è fiorente di artigianato, non a caso Pàtzcuaro, con le sue case mezze bianche mezze rosse, è inserita nella lista degli 80 Pueblos Magicos messicani, luoghi dall’affascinante atmosfera in cui la cultura è viva perché si investe ogni giorno su arte, bellezze naturali e tradizioni preservate attentamente dagli stessi abitanti. E il Michoacan ne possiede addirittura il 10 per cento, 8 su 80 non sono pochi in appena 58 mila chilometri quadrati.

A sud, nella vicina Santa Clara del Cobre pare di camminare in un grande atelier dove gli artisti martellatori del rame hanno pochi rivali, ogni giorno da millenni battono incessantemente tramandando la loro antica sapienza.

Nelle tante fucine i mantici vengono azionati ancora a mano creando fiammate che fondono il blocco di rame, plasmato a colpi di poderose martellate mentre é ancora incandescente. Ovunque si entri, in particolare a Casa Felicitas, l’atmosfera é incredibile ed assordante perché il colpo viene ritmato in équipe, con l’alternarsi fino a dieci persone per volta e nessuno sbaglia il momento in cui inserirsi con la propria martellata su quell’unico oggetto rovente tenuto da grosse pinze.

In marcia verso Morelia, oltrepassando statue di cantera, la locale pietra di diversi colori, non ci perdiamo Tzintzuntzan (o luogo dei colibrì messaggeri) e le prospicienti piramidi del sito archeologico di Yacatas risalenti al 1330 d.C.. All’epoca, grazie al sincretismo (fusione di differenti dottrine religiose) c’era la necessità di mediare tra le credenze dei colonizzatori spagnoli e quelle degli indigeni, ed é per tale ragione che da queste parti Sant’Antonio, festeggiato da noi a metà giugno cioè nel mese in cui inizia la stagione degli acquazzoni messicani, è considerato il dio della pioggia.

Il vicino chiostro del cinquecentesco convento francescano di Santa Ana presenta stupendi murales che rappresentano i sacramenti, nel parco adiacente ulivi antichi regalano ai viandanti una sensazione di pace e l’altare esterno testimonia che gli indigeni non entravano in convento perché ritenevano che i loro “dei” fossero fuori, ecco perché si ritrova il sole e la luna scolpiti sull’ingresso degli edifici religiosi, era un semplice invito ad entrare.

On the road ci prendiamo il tempo per un pasto dai sapori messicani pranzando con Rafael all’Hacienda Ucazanaztacua, un boutique hotel dove incrociamo le posate per la più superlativa zuppa Tarasco in cui il pomodoro, i fagioli, il brodo, il formaggio e il chile si sposano perfettamente.

Ogni angolo della struttura ci ricorda come lavoravano i nativi, il legno é stato tagliato a mano con l’ausilio dell’ascia e i mattoni d’argilla che calpestiamo sono stati costruiti con il vecchio sistema indigeno, mentre tra il verde delle sue siepi spuntano i simpatici volti in terracotta di Manuel Morales, uno scultore famoso in questa parte di mondo.

Attorniata da mucche al pascolo, campi di avocado, piselli, ceci, bimbi sugli asinelli e campesinos che arano con l’aiuto dei cavalli, tra ettari coltivati con il piccante chile de arbol rosso come il fuoco, si arriva a Morelia, deliziosa cittadina Patrimonio dell’Unesco, fondata nel 1541 ed unica per eleganza.

La cattedrale, che sbuca improvvisa dopo strette stradine ricche di barocco, edifici di pietra e porticati, é una meraviglia rara, in special modo il sabato sera quando le guglie vengono illuminate e dai cannoni partono fuochi d’artificio che rendono iridescenti le sue torri campanarie.

Essendo una delle prime città della cosiddetta Nueva España, il primo viceré spagnolo Antonio de Mendoza la chiamò Valladolid in onore dell’omonima città esistente in Spagna, solo nel 1828 venne ribattezzata Morelia per onorare il locale eroe José Maria Morelos y Pavon, una figura di spicco nella lotta per l’Indipendenza del Messico.

Parlare invece di Cunajo equivale a parlare di mobili, proprio così recita lo slogan di questo piccolo villaggio dove ci sono più falegnami che anime. Ovunque ci sia una porta si apre un magazzino stipato di coloratissimi tavoli, sedie, paraventi, oggettistica, armadi, tutto scolpito con disegni pre ispanici raffiguranti i vari momenti della vita.

Tavoli bellissimi che avevamo già incontrato a Morelia, tra gli arredi del famoso ristorante San Miguelito, quello dove si va non solo perché si mangia bene, ma anche per domandare di incontrare l’anima gemella ad una delle tante statue di Sant’Antonio appese a testa in giù.

Una leggenda popolare vuole infatti che i Sant’Antonio verranno messi dritti soltanto dopo avere esaudito tutte le richieste, ma siccome un librone documenta i ringraziamenti di chi ha trovato marito o moglie, e siccome c’é una continua processione di commensali in cerca dello spasimante perfetto, questo non accadrà mai.

Comunque il Messico ha il riconoscimento come Patrimonio culturale immateriale dell’Umanità per la cucina tradizionale a tecniche ancestrali ed un’esperienza nei migliori ristoranti, come questo, é una garanzia per ogni palato. In Messico, come il grano in Europa e il riso in Asia, il mais, i fagioli e il chili hanno contribuito a dare al Paese l’importante iscrizione.

Un’altra tappa suggerita dalla nostra guida Alfredo De La Cruz, sarà Tlalpujahua con la piccola svettante cittadina che ruota attorno al sito Dos Estrellas (Due Stelle), la più importante miniera di oro e argento, chiusa nel 1959, nella quale tra il 1889 e il 1938 lavoravano quasi 6000 minatori estraendo all’incirca 2400 tonnellate d’oro al giorno.

Maria Del Carmen vi farà visitare il Museo ricco di aneddoti e foto storiche dell’epoca, il tunnel e quanto resta della fabbrica per la fusione. Ma Tlalpujahua é nota anche per i soffiatori di vetro e per le sue splendide palline natalizie che adornano oramai gli alberi di tutto il mondo. Provate ad entrare da El Taller de Santa Claus!

Prima di lasciare il Michoacan, dopo avere apprezzato un giorno di divertimento puro a Contepec dentro Mundo Granjero il divertente parco zoo adatto alle famiglie, ci spingiamo fino all’atmosfera lunare del Parco nazionale de Los Azufres.

Siamo in pratica nel letto del cono del vulcano San Andrés disseminato di turbine che trattengono l’energia della natura, la incanalano e la sfruttano per geotermia dando elettricità a buona parte del Messico.

Si cammina ed ogni angolo è una sorpresa, grotte di acqua termale curativa, fanghi benefici tra i fitti boschi di pini, verdi lagune dove rinfrescarsi, grigie pareti di calcio, miniere di minerali a cielo aperto, ma soprattutto 60 geyser che ci accompagnano, a lato, di fianco, dietro, davanti, sparando al cielo sbuffi di vapore bianco alti come grattacieli. E ancora di più ci sentiamo immersi nella magia del Messico dei pueblos magicos.