Nel vivido tramonto equatoriale le grandi ali del boing 767 della KLM sfiorano il ghiaccio dei sei mila metri del Chimborazo la montagna più alta della cordigliera Occidentale delle Ande. Stiamo atterrando in Ecuador, la fulgida terra di mezzo che con una torre monumentale celebra, come viene appellata qui, la mitad de mundo che taglia idealmente in due il pianeta, in quanto alla latitudine 0°0′0″ dell’equatore.

Proprio mentre noi ci lasciamo alle spalle l’aeroporto di Quito, Cotopaxi, il più alto vulcano attivo, sonnecchia zitto e l’on the road, nella fossa del corridoio andino tra le due cordigliere che dominano il Paese, diventa un’occasione per intuire subito che i contrasti saranno all’ordine del viaggio. La nostra meta finale sarà Cuenca, troppo bella e troppo poco conosciuta per guardare altrove, perché è a Cuenca che tutto, ma proprio tutto di questo Paese straordinario, dalla Storia passata a quella recente fino a quella futura, finalmente si riconnetterà.

La “carretera” che unisce le Cordigliere all’Amazzonia, con le sue diramazioni tocca quasi tutte le città coloniali ecuadoriane e ci aiuta ad individuare quei valori aggiunti che per secoli gli indigeni cañari e i quichua hanno trasmesso ad ogni viaggiatore che arrivi nell’area, non solo cuencana.

Ma soltanto quando arriviamo a Cuenca, Patrimonio dell’Umanità dal 1999, mentre notiamo che praticamente ogni esponente del gentil sesso porta un sombrero e che ogni depliant propone la visita a Equagenera con le sue 4000 specie di orchidee, comprendiamo perché la ciudad si sia aggiudicata negli anni la nomea di capitale culturale dell’Ecuador, e non certamente soltanto perché qui ogni due anni, nella splendida casa omonima, tra pietra di travertino e murales, si svolge la Biennale.

Proprio come fosse una donna di carattere, Cuenca lascia intravedere subito la fusione delle sue diverse personalità, e così, prima ancora dell’influenza spagnola emerge quella dovuta all’antico Impero Inca Tomebamba, sulle cui rovine di Guapondelig camminiamo continuamente e dalla cui cultura cañari si diramano le tante tradizioni che guardano al futuro, dall’intreccio dei famosi cappelli de paja toquilla, conosciuti mondialmente come panama e che in realtà sono fatti qui! (e di cui racconteremo i dettagli in un apposito prossimo articolo), a quella della particolare lavorazione dei tessuti che danno origine a splendidi camicie, mantelle, poncho, scialli finemente ricamati, fino alla ceramica, anche quella cosiddetta negra, nera come la pece, passando per il cuoio o la pelle lavorata, arrivando alla gioielleria minuziosa venduta in curiosi negozi multiuso, dove, subito dietro le vetrine (spostabili ad hoc), vengono ospitate le auto, come da noi solitamente capita soltanto nei garage. Perché in tal modo il presente ingloba al meglio il passato.

E poi, oltre alle escursioni adatte a chi ama l’avventura, dove quindi trovarsi al galoppo sfrenato nelle colline ecuadoriane, o impegnati nel climbing delle pareti con varie difficoltà nella Provincia di Cañar, o passeggiando tra le lagune del Parco del Cajas, ci sono i sentieri di fede che portano i visitatori in uno straordinario recorrido tra la Cattedrale della Immacolata Concezione e le altre Chiese, su cui spiccano quella del Cenacolo, oramai un museo, con la spettacolare ultima cena degli Apostoli a grandezza naturale, e quella dai caratteri corinzi di San Francesco con la sua Torre.

Infine, talmente gli ecuadoriani amano il gelato, Cuenca ha anche la reale fama di essere una cittadina dove si può sempre stare dentro la sua Storia con davanti una gelateria. Cosa che aiuta ancora più se messa insieme a quel magnanimo venticello spesso presente in questa larga verde piana ricca di alberi da frutta, fertilizzata addirittura da tre diversi rii, e la cui fresca presenza, come ha fatto notare Teodore Wolf nel 1875, rende gradevole anche l’estate più umida e torrida.